Un piccolo tributo al Duca Bianco, artista totale e grande narratore. C’è tanto da imparare da lui.
Oggi 11 gennaio è un giorno triste, uno di quelli in cui vorresti solo sdraiarti nel letto, tra il tepore delle coperte, chiudere gli occhi e non pensare a niente. Questa mattina, in treno, ho letto la notizia della morte di David Bowie, uno dei più grandi artisti della scena musicale internazionale, e il mio umore, già non al massimo, è peggiorato sensibilmente.
Oggi è uno di quei giorni in cui il piano editoriale, il calendario editoriale, la SEO, la pertinenza e tutte quelle belle cose alla base del mio mestiere se ne vanno a fanculo per far posto all’anima, al mio essere, in fondo, uno scrittore. A me interessano le storie, e David Bowie è stato e sarà sempre un maestro di storytelling.
Avevo dei dubbi sullo scrivere oppure no un post in memoria del Duca Bianco, perché non volevo passare per uno sciacallo pronto ad infilarsi nei trend per acchiappare qualche clic, facendo newsjacking, ma chi mi conosce sa che queste cose non mi interessano, e se qualcuno la legge con malizia vuol dire che non ha mai letto il mo blog né tanto meno ha scambiato qualche chiacchiera, virtuale o reale, con me.
Non me ne frega niente delle visite, della SEO, dei trend, ho solo un forte desiderio di rendere omaggio ad un artista che mi ha regalato (e continuerà a farlo per sempre) grosse emozioni – giuro che mi commuovo ogni volta che ascolto Heroes o Space Oddity.
Non è solo per la musica, per i testi o per il mood dei suoi pezzi, quello che ho sempre adorato in lui è la capacità di raccontare delle storie attraverso le canzoni, costruendo dei personaggi divenuti poi iconici, in alcuni casi dei veri e propri alter ego di Bowie. Pensa a Ziggy Stardust, ad esempio, che ha rappresentato per Bowie l’equivalente di quello che è stato per Charlie Chaplin “Charlot”, un personaggio nato sulla carta e divenuto così ingombrante da doverne annunciare la morte per potersene liberare, il primo durante il concerto del 3 luglio 1973 all’Hammersmith Odeon di Londra, il secondo facendo parlare il suo vagabondo ne “Il Grande Dittatore” (farò un post su questo prima o poi!).
I suoi album non sono una semplice raccolta di brani, alcuni eccezionali, altri meno, ma delle opere drammaturgiche complete, con la creazione di un universo di caratteri sviluppati canzone dopo canzone, inseriti in una realtà spesso irreale, grottesca, sempre carica di echi emozionali di grande impatto, grazie anche all’importanza che dava alle parole, pronunciate sempre con cura, senza mai biascicarle, come capita spesso ai cantanti per esigenze ritmiche.
Non è un caso che Bowie abbia contaminato con la sua arte anche il cinema, e che suo figlio sia un regista anche abbastanza quotato; è stato un grande narratore, capace di innovare e rinnovarsi conservando sempre la sua grandezza.
Quello che conta, sempre, è la storia che stai raccontando, il resto viene dopo.
Chiudo questo mio omaggio con un brano recente, contenuto nel suo penultimo album “The Next Day” del 2013. Il brano si intitola “Where are we now”.
Addio Ziggy!!!
Where are we now?
Where are we now?
The moment you know
You know, you know
As long as there’s sun
As long as there’s sun
As long as there’s rain
As long as there’s rain
As long as there’s fire
As long as there’s fire
As long as there’s me
As long as there’s you