Content marketing: meno contenuti, ma migliori

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Il content marketing esploderà nel 2016, ma un eccesso di contenuti potrebbe renderlo inefficace. Perché Content is King, ma non bisogna abusarne.

Io credo molto nel content marketing, la trovo la migliore forma di comunicazione e promozione che un brand possa attivare, ecco perché da un po’ di tempo sto cercando di specializzarmi sempre di più in questo settore, e lo faccio cercando di imparare dai migliori.

Un punto di riferimento in Italia per il content marketing è Alessio Beltrami, che consiglio a tutti di seguire con attenzione, perché fornisce spesso contenuti approfonditi e ricchi di informazioni essenziali.

Chi sta ammazzando il content marketing?

Ci sono molti guru internazionali che si occupano di content marketing, e uno dei più autorevoli è Joe Pulizzi, il fondatore del Content Marketing Institute con sede a Cleveland.

Qualche giorno fa ho letto un suo articolo sul blog del CMI dal titolo curioso, “One Thing Is Killing Content Marketing and Everyone Is Ignoring It”, nel quale pone una questione decisamente interessante, ovvero che il peggior nemico del Content Marketing sono proprio i contenuti, o meglio l’abbondanza di contenuti.

I tuoi contenuti valgono l’attenzione dell’utente?

Nell’articolo Pulizzi racconta di aver tenuto un workshop rivolto ad un gruppo di piccole e medie imprese operanti in settori diversi tra loro, e tutti i presenti si lamentavano dell’inefficacia delle azioni di marketing attivate dalle proprie aziende.

Dopo aver ascoltato tutte queste lamentale, Pulizzi ha interrotto l’intervento per fare una domanda, secca e diretta:

Is the content you are creating and distributing for your customers any different than anything else out there?

Il tuo contenuto è diverso da tutti gli altri? Bella domanda, alla quale è difficile rispondere con consapevolezza, soprattuto con distacco, perché siamo sempre convinti di fare le cose per bene, ma non sempre è così.

Leggi anche:   Content Marketing: chi deve produrre i contenuti?

Perché dovrebbero interessarsi ai tuoi contenuti?

La domanda successiva che ha posto agli astanti è ancora più interessante:

Why should my customers care?”
That e-newsletter you are sending out. Why should they care?
Your Facebook post? Why should they care?
Your blog post, video or (God help us all) Snapchat?

“Why should they care?”, perché i tuoi consumatori dovrebbero dimostrare interesse per i contenuti che produci? Cosa stai proponendo di così interessante da non poter essere ignorato?

[Tweet “Il tuo contenuto è diverso da tutti gli altri? #ContentMarketing”]

Se ci pensi un attimo, è proprio la domanda giusta da porsi, perché pensare di mettere un contenuto in rete e ricevere valanghe di feedback e interazioni è un’utopia, ma il marketing è fatto di risultati, di dati, di analisi, di conversioni, di evidenze, non di chiacchiere al vento, quindi prima di attivare una strategia di content marketing dovresti proprio chiedertelo.

Il content marketing si basa sull’utilità

Continuando nella lettura dell’articolo, si legge questo, che a mio avviso è di una lucidità impressionante:

Our job, as marketers, is not to create more content. It has never been about that. It’s about creating the minimum amount of content with the maximum amount of behavior change in our customers (hat tip to Robert Rose). For that to be possible, what you are creating has to be valuable, useful, compelling and, yes, different.

[Tweet “Il nostro lavoro non è creare più contenuti, ma crearne di utili. #ContentMarketing “]

Sul concetto di contenuto utile sono ritornato più volte – ho scritto un eBook con Federico Simonetti e ci sto costruendo intorno il mio futuro professionale, che puoi scaricare tramite il banner in cosa all’articolo – e sono sempre felice di vedere usare questa espressione da parte di espertoni, Guru del content marketing che stimo e ammiro.

Content marketing: il 2016 sarà l’anno della consacrazione

Il content marketing non è una invenzione recente, e non è nemmeno nato con l’avvento di internet e dei social media, esiste da più di un secolo, ma negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale, diventando un must have, come evidenziato anche dal “2016 Digital Trends Report” realizzato da ClickZ.

Leggi anche:   Come sviluppare una strategia di Content Marketing [+Slide]

Dal rapporto emerge un dato che, quando l’ho letto, mi ha spiazzato, tant’è vero che ho subito condiviso l’articolo nel quale avevo trovato l’informazione nel gruppo facebook Content Marketing Italia di Alessio Beltrami, per potermi confrontare con altri operatori del settore.

Il dato è il seguente:

digital-trends-chart

Cosa vuol dire, in poche parole?

A quanto pare, le aziende vedono sempre più di buon occhio il content marketing, anzi, sono convinti che il 2016 sarà molto probabilmente l’anno della sua definitiva consacrazione nell’universo più ampio (molto ampio) del digital marketing.

Certo, si tratta di uno studio fatto negli USA, ma è comunque indicativo di un trend che, prima o poi, investirà anche il nostro Paese.

Contenuti vs Banner pubblicitari

Continuando a leggere il rapporto, che è davvero molto interessante, si legge una dichiarazione di Kevin Lee, CEO di Didit (piccola curiosità: nel rapporto c’è un refuso, è scritto “Chariman” invece di “Chairman” :-D), che merita attenzione.

2016 will see a further acceleration of all forms of product placement and integration of marketing messages into content used for entertainment and education. The rise of ad blockers combined with the ‘banner blindness’ caused by 20 years of mind-numbingly off-target banners are forcing a doubling down on true native advertising.

Cosa significa?

In pratica, Lee sostiene che il declino dell’efficacia dei banner, complici anche servizi come Ad Block, hanno spinto i brand a puntare su contenuti e native advertising, per evitare di diventare invisibili.

Dello stesso avviso è Benjamin Spiegel, CEO della MMI Agency:

With the increased competition in the auctions and the increase in ad blocking, I believe 2016 could be — must be — the year when marketers finally stop talking about the creation of content and actually start applying pressure to their internal and external teams to make it so — and to do it better than the competition.

Questo è un bene per il content marketing, a patto però che si punti meno sulla quantità e più sulla qualità, anche perché con il passare degli anni sono migliorati i tool che consento di analizzare l’efficacia dei contenuti prodotti e diffusi, e non ci si dovrà più basare solo sulle famose vanity metrics, che sono importanti ma solo se inserite in una strategia.

Leggi anche:   Come fare articoli "come fare" in modo efficace

Meno contenuti, migliori contenuti!

Dal 1996, ovvero da quando quel gigione di Bill Gates lo scrisse per la prima volta, non si fa altro che ripetere che Content is King, ed è senz’altro vero, ma non dobbiamo esagerare, perché i Re e le monarchie sono vulnerabili.

Lasciami fare l’amante del cinema un attimo e citare il grande Fred Ballinger, il personaggio interpretato mirabilmente da Michael Caine nel capolavoro di Paolo Sorrentino “Youth – La giovinezza”:

«La monarchie fanno sempre tenerezza.»
«Se posso permettermi, perché la monarchia le fa tenerezza?»
«Perché è vulnerabile. Basta eliminare una sola persona e il mondo, di colpo, cambia. Come nei matrimoni.»

Perché ho riportato questo pezzo di dialogo tratto dal film di Sorrentino?

Per cercare di sottolineare il fatto che anche se il contenuto è l’elemento centrale di ogni strategia di marketing che si rispetti, non bisogna abusarne, perché è un attimo e tutto il castello che hai costruito con tanta cura e pazienza crolla.

[Tweet “Content is King, è vero, ma i Re e le monarchie sono vulnerabili. Meglio non abusarne.”]

Il content marketing funziona solo se sussistono tre requisiti fondamentali:

  • Hai un contenuto utile da veicolare;
  • Hai un utente interessato al tuo contenuto;
  • Hai risolto un problema al tuo utente con il tuo contenuto.

Ecco perché io insisto molto sul concetto di utilità, perché devi sforzarti di produrre contenuti dei quali il tuo target ha bisogno.

Pubblicare un articolo al giorno non serve a niente, inviare una email al giorno non serve a niente, condividere un contenuto sui tuoi canali social al giorno non serve a niente, il content marketing non serve a niente se non sussistono quelle tre condizioni.

Morale della favola? Meno contenuti, ma migliori.

Invece di pubblicare un post al giorno da 300 parole sul tuo blog, prova a pubblicarne uno a settimana da 2000, e vedi cosa succede.

Lo stesso vale per gli altri canali scelti per veicolare e diffondere i tuoi contenuti; fanne meno, ma falli meglio!

[Tweet “Produci meno contenuti, ma migliori! #ContentMarketing”]

E tu cosa ne pensi?


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Ebook contenuti utili

Francesco Ambrosino

Classe 1984, Digital Marketer specializzato in Gestione Blog Aziendali, Formazione Professionale, SEO Copywriting, Social Media Management e Web Writing. Membro di Open-Box e Comunicatica, co-creatore di Digitalklive

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